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Il 25 dicembre, giorno di Natale
lunedì 24 dicembre 2012
venerdì 21 dicembre 2012
Anno della Fede - decima catechesi (19 dicembre 2012)
Maria
Vergine: Icona della fede obbediente
Cari
fratelli e sorelle, nel cammino dell’Avvento
la Vergine Maria occupa un posto particolare come colei che in modo unico ha
atteso la realizzazione delle promesse di Dio, accogliendo nella fede e nella
carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena obbedienza alla volontà divina. Oggi
vorrei riflettere brevemente con voi sulla fede di Maria a partire dal grande
mistero dell’Annunciazione. «Chaîre kecharitomene, ho Kyrios meta sou»,
«Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Sono
queste le parole - riportate dall’evangelista Luca – con cui l’arcangelo Gabriele
si rivolge a Maria. A prima vista il termine chaîre, “rallegrati”,
sembra un normale saluto, usuale nell’ambito greco, ma questa parola, se letta
sullo sfondo della tradizione biblica, acquista un significato molto più
profondo. Questo stesso termine è presente quattro volte nella versione greca
dell’Antico Testamento e sempre come annuncio di gioia per la venuta del Messia
(cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9; Lam 4,21). Il
saluto dell’angelo a Maria è quindi un invito alla gioia, ad una gioia
profonda, annuncia la fine della tristezza che c’è nel mondo di fronte al
limite della vita, alla sofferenza, alla morte, alla cattiveria, al buio del
male che sembra oscurare la luce della bontà divina. E’ un saluto che segna
l’inizio del Vangelo, della Buona Novella. Ma perché Maria viene invitata a
rallegrarsi in questo modo? La risposta si trova nella seconda parte del
saluto: “il Signore è con te”. Anche qui per comprendere bene il senso
dell’espressione dobbiamo rivolgerci all’Antico Testamento. Nel Libro di Sofonia
troviamo questa espressione «Rallégrati, figlia di Sion,… Re d’Israele è il
Signore in mezzo a te… Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore
potente» (3,14-17). In queste parole c’è una duplice promessa fatta ad Israele,
alla figlia di Sion: Dio verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in
mezzo al suo popolo, nel grembo della figlia di Sion. Nel dialogo tra l’angelo
e Maria si realizza esattamente questa promessa: Maria è identificata con il
popolo sposato da Dio, è veramente la Figlia di Sion in persona; in lei si
compie l’attesa della venuta definitiva di Dio, in lei prende dimora il Dio
vivente. Nel saluto dell’angelo, Maria viene chiamata “piena di grazia”; in
greco il termine “grazia”, charis, ha la stessa radice linguistica della
parola “gioia”. Anche in questa espressione si chiarisce ulteriormente la
sorgente del rallegrarsi di Maria: la gioia proviene dalla grazia, proviene
cioè dalla comunione con Dio, dall’avere una connessione così vitale con Lui,
dall’essere dimora dello Spirito Santo, totalmente plasmata dall’azione di Dio.
Maria è la creatura che in modo unico ha spalancato la porta al suo Creatore,
si è messa nelle sue mani, senza limiti. Ella vive interamente della e nella
relazione con il Signore; è in atteggiamento di ascolto, attenta a cogliere i
segni di Dio nel cammino del suo popolo; è inserita in una storia di fede e di
speranza nelle promesse di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza.
E si sottomette liberamente alla parola ricevuta, alla volontà divina nell’obbedienza
della fede. L’Evangelista Luca narra la vicenda di Maria attraverso un fine
parallelismo con la vicenda di Abramo. Come il grande Patriarca è il padre dei
credenti, che ha risposto alla chiamata di Dio ad uscire dalla terra in cui
viveva, dalle sue sicurezze, per iniziare il cammino verso una terra
sconosciuta e posseduta solo nella promessa divina, così Maria si affida con
piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero di Dio e diventa
modello e madre di tutti i credenti. Vorrei sottolineare un altro aspetto
importante: l’apertura dell’anima a Dio e alla sua azione nella fede include
anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non
cancella la distanza tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo
Paolo davanti alle profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili sono i
suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Ma proprio colui
che - come Maria – è aperto in modo totale a Dio, giunge ad accettare il volere
divino, anche se è misterioso, anche se spesso non corrisponde al proprio
volere ed è una spada che trafigge l’anima, come profeticamente dirà il vecchio
Simeone a Maria, al momento in cui Gesù viene presentato al Tempio (cfr Lc
2,35). Il cammino di fede di Abramo comprende il momento di gioia per il dono
del figlio Isacco, ma anche il momento dell’oscurità, quando deve salire sul
monte Moria per compiere un gesto paradossale: Dio gli chiede di sacrificare il
figlio che gli ha appena donato. Sul monte l’angelo gli ordina: «Non stendere
la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi
hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (Gen 22,12); la piena
fiducia di Abramo nel Dio fedele alle promesse non viene meno anche quando la
sua parola è misteriosa ed è difficile, quasi impossibile, da accogliere.
Così è per Maria, la sua fede vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche
attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla
luce della Risurrezione. Non è diverso anche per il cammino di fede di ognuno
di noi: incontriamo momenti di luce, ma incontriamo anche passaggi in cui Dio
sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non
corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a
Dio, accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia
- come Abramo e come Maria - tanto più Egli ci rende capaci, con la sua
presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza
della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e
dai propri progetti, perché la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri
pensieri e le nostre azioni. Vorrei soffermarmi ancora su un aspetto che emerge
nei racconti sull’Infanzia di Gesù narrati da san Luca. Maria e Giuseppe
portano il figlio a Gerusalemme, al Tempio, per presentarlo e consacrarlo al
Signore come prescrive la legge di Mosé: «Ogni maschio primogenito sarà sacro
al Signore» (cfr Lc 2,22-24). Questo gesto della Santa Famiglia acquista
un senso ancora più profondo se lo leggiamo alla luce della scienza evangelica
di Gesù dodicenne che, dopo tre giorni di ricerca, viene ritrovato nel Tempio a
discutere tra i maestri. Alle parole piene di preoccupazione di Maria e
Giuseppe: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io,
angosciati, ti cercavamo», corrisponde la misteriosa risposta di Gesù: «Perché
mi cercavate? Non sapevate che devo essere nelle cose del Padre mio?» (Lc
2,48-49). Cioè nella proprietà del Padre, nella casa del Padre, come lo è un
figlio. Maria deve rinnovare la fede profonda con cui ha detto «sì»
nell’Annunciazione; deve accettare che la precedenza l’abbia il Padre vero e
proprio di Gesù; deve saper lasciare libero quel Figlio che ha generato perché
segua la sua missione. E il «sì» di Maria alla volontà di Dio, nell’obbedienza
della fede, si ripete lungo tutta la sua vita, fino al momento più difficile,
quello della Croce. Davanti a tutto ciò, possiamo chiederci: come ha potuto
vivere Maria questo cammino accanto al Figlio con una fede così salda, anche
nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio? C’è un
atteggiamento di fondo che Maria assume di fronte a ciò che avviene nella sua
vita. Nell’Annunciazione Ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo -
è il timore che l’uomo prova quando viene toccato dalla vicinanza di Dio –, ma
non è l’atteggiamento di chi ha paura davanti a ciò che Dio può chiedere. Maria
riflette, si interroga sul significato di tale saluto (cfr Lc 1,29). Il
termine greco usato nel Vangelo per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”,
richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa che Maria entra in
intimo dialogo con la Parola di Dio che le è stata annunciata, non la considera
superficialmente, ma si sofferma, la lascia penetrare nella sua mente e nel suo
cuore per comprendere ciò che il Signore vuole da lei, il senso dell’annuncio.
Un altro cenno all’atteggiamento interiore di Maria di fronte all’azione di Dio
lo troviamo, sempre nel Vangelo di san Luca, al momento della nascita di Gesù,
dopo l’adorazione dei pastori. Si afferma che Maria «custodiva tutte queste
cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); in greco il termine è symballon,
potremmo dire che Ella “teneva insieme”, “poneva insieme” nel suo cuore
tutti gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo
elemento, ogni parola, ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo
conservava, riconoscendo che tutto proviene dalla volontà di Dio. Maria non si
ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita,
ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi, li elabora,
li discerne, e acquisita quella comprensione che solo la fede può garantire. E’
l’umiltà profonda della fede obbediente di Maria, che accoglie in sé anche ciò
che non comprende dell’agire di Dio, lasciando che sia Dio ad aprirle la mente
e il cuore. «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del
Signore» (Lc 1,45), esclama la parente Elisabetta. E’ proprio per la sua
fede che tutte le generazioni la chiameranno beata. Cari amici, la solennità
del Natale del Signore che tra poco celebreremo, ci invita a vivere questa
stessa umiltà e obbedienza di fede. La gloria di Dio non si manifesta nel
trionfo e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un
sontuoso palazzo, ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella
povertà di un bambino. L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce
con la forza, spesso silenziosa, della verità e dell’amore. La fede ci dice,
allora, che l’indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle
potenze del mondo.
Papa Benedetto
XVI
mercoledì 19 dicembre 2012
Inizieremo presto i lavori di messa in sicurezza e ristrutturazione di Chiesa e Canonica
Il progetto di messa in sicurezza e ristrutturazione della Chiesa e della Canonica è esecutivo. Le ditte per l'edile, l'idraulico, il termico e l'elettrico sono già state scelte. Il budget a disposizione non è sufficiente ma confidiamo nella Provvidenza, nel vostro aiuto. Cercheremo - se possibile - di impostare un luogo di accoglienza evangelica per persone bisognose nella parte vecchia della canonica che vogliamo ristrutturare. Questo ci porterà ad indebitarci. Vi chiedo il vostro piccolo/grande aiuto in tutte le fasi ... anche per il trasloco ... Il conto corrente della Parrocchia di Montecatone presso la banca "Credito di Romagna" ha IBAN:IT91V0327321000000510100705 e BIC: CRDRIT2FXXX.
grazie, buon Natale, don Fabio
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mercoledì 12 dicembre 2012
Anno della Fede - nona catechesi (12 dicembre 2012)
Le tappe della Rivelazione
Cari
fratelli e sorelle, nella scorsa
catechesi ho parlato della Rivelazione di Dio, come comunicazione che Egli
fa di Se stesso e del suo disegno di benevolenza e di amore. Questa Rivelazione
di Dio si inserisce nel tempo e nella storia degli uomini: storia che diventa
«il luogo in cui possiamo costatare l’agire di Dio a favore dell’umanità. Egli
ci raggiunge in ciò che per noi è più familiare, e facile da verificare, perché
costituisce il nostro contesto quotidiano, senza il quale non riusciremmo a
comprenderci» (Giovanni Paolo II, Enc. Fides
et ratio, 12). L’evangelista san Marco – come abbiamo sentito -
riporta, in termini chiari e sintetici, i momenti iniziali della predicazione
di Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). Ciò
che illumina e dà senso pieno alla storia del mondo e dell’uomo inizia a
brillare nella grotta di Betlemme; è il Mistero che contempleremo tra poco nel
Natale: la salvezza che si realizza in Gesù Cristo. In Gesù di Nazaret Dio
manifesta il suo volto e chiede la decisione dell’uomo di riconoscerlo e di
seguirlo. Il rivelarsi di Dio nella storia per entrare in rapporto di dialogo
d’amore con l’uomo, dona un nuovo senso all’intero cammino umano. La storia non
è un semplice succedersi di secoli, di anni, di giorni, ma è il tempo di una
presenza che le dona pieno significato e la apre ad una solida speranza. Dove
possiamo leggere le tappe di questa Rivelazione di Dio? La Sacra Scrittura è il
luogo privilegiato per scoprire gli eventi di questo cammino, e vorrei - ancora
una volta - invitare tutti, in questo Anno della fede,
a prendere in mano più spesso la Bibbia per leggerla e meditarla e a prestare
maggiore attenzione alle Letture della Messa domenicale; tutto ciò costituisce
un alimento prezioso per la nostra fede. Leggendo l’Antico Testamento possiamo
vedere come gli interventi di Dio nella storia del popolo che si è scelto e con
cui stringe alleanza non sono fatti che passano e cadono nella dimenticanza, ma
diventano “memoria”, costituiscono insieme la “storia della salvezza”,
mantenuta viva nella coscienza del popolo d’Israele attraverso la celebrazione
degli avvenimenti salvifici. Così, nel Libro dell’Esodo il Signore
indica a Mosè di celebrare il grande momento della liberazione dalla schiavitù
dell’Egitto, la Pasqua ebraica, con queste parole: «Questo giorno sarà per voi
un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in
generazione lo celebrerete come un rito perenne» (12,14). Per l’intero popolo
d’Israele ricordare ciò che Dio ha operato diventa una sorta di imperativo
costante perché il trascorrere del tempo sia segnato dalla memoria vivente
degli eventi passati, che così formano, giorno per giorno, di nuovo la storia e
rimangono presenti. Nel Libro del Deuteronomio, Mosè si rivolge al
popolo dicendo: «Guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno
visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le
insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli» (4,9). E così dice
anche a noi: «Guardati bene dal dimenticare le cose che Dio ha fatto con noi».
La fede è alimentata dalla scoperta e dalla memoria del Dio sempre fedele, che
guida la storia e che costituisce il fondamento sicuro e stabile su cui
poggiare la propria vita. Anche il canto del Magnificat, che la
Vergine Maria innalza a Dio, è un esempio altissimo di questa storia della
salvezza, di questa memoria che rende e tiene presente l'agire di Dio. Maria
esalta l’agire misericordioso di Dio nel cammino concreto del suo popolo, la
fedeltà alle promesse di alleanza fatte ad Abramo e alla sua discendenza; e
tutto questo è memoria viva della presenza divina che mai viene meno (cfr Lc
1,46-55).
Per Israele,
l’Esodo è l’evento storico centrale in cui Dio rivela la sua azione potente.
Dio libera gli Israeliti dalla schiavitù dell’Egitto perché possano ritornare
alla Terra Promessa e adorarlo come l’unico e vero Signore. Israele non si
mette in cammino per essere un popolo come gli altri - per avere anche lui
un'indipendenza nazionale -, ma per servire Dio nel culto e nella vita, per
creare per Dio un luogo dove l'uomo è in obbedienza a Lui, dove Dio è presente
e adorato nel mondo; e, naturalmente, non solo per loro, ma per testimoniarlo
in mezzo agli altri popoli. La celebrazione di questo evento è un renderlo
presente e attuale, perché l’opera di Dio non viene meno. Egli tiene fede al
suo disegno di liberazione e continua a perseguirlo, affinché l’uomo possa
riconoscere e servire il suo Signore e rispondere con fede e amore alla sua
azione.
Dio quindi
rivela Se stesso non solo nell’atto primordiale della creazione, ma entrando
nella nostra storia, nella storia di un piccolo popolo che non era né il più
numeroso, né il più forte. E questa Rivelazione di Dio, che va avanti nella
storia, culmina in Gesù Cristo: Dio, il Logos, la Parola creatrice che è
all’origine del mondo, si è incarnata in Gesù e ha mostrato il vero volto di
Dio. In Gesù si compie ogni promessa, in Lui culmina la storia di Dio con
l’umanità. Quando leggiamo il racconto dei due discepoli in cammino verso
Emmaus, narratoci da san Luca, vediamo come emerga in modo chiaro che la
persona di Cristo illumina l’Antico Testamento, l’intera storia della salvezza
e mostra il grande disegno unitario dei due Testamenti, mostra la via della sua
unicità. Gesù, infatti, spiega ai due viandanti smarriti e delusi di essere il
compimento di ogni promessa: «E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti,
spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (24,27).
L’Evangelista riporta l’esclamazione dei due discepoli dopo aver riconosciuto
che quel compagno di viaggio era il Signore: «Non ardeva forse in noi il nostro
cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le
Scritture?» (v. 32). Il Catechismo
della Chiesa Cattolica riassume le tappe della Rivelazione divina mostrandone
sinteticamente lo sviluppo (cfr nn. 54-64): Dio ha invitato l’uomo fin dagli
inizi ad un’intima comunione con Sé e anche quando l’uomo, per la propria
disobbedienza, ha perso la sua amicizia, Dio non l’ha abbandonato in potere
della morte, ma ha offerto molte volte agli uomini la sua alleanza (cfr Messale
Romano, Pregh. Euc. IV). Il Catechismo
ripercorre il cammino di Dio con l’uomo dall’alleanza con Noé dopo il diluvio,
alla chiamata di Abramo ad uscire dalla sua terra per renderlo padre di una
moltitudine di popoli. Dio forma Israele quale suo popolo, attraverso l’evento
dell’Esodo, l’alleanza del Sinai e il dono, per mezzo di Mosè, della Legge per
essere riconosciuto e servito come l’unico Dio vivo e vero. Con i profeti, Dio
guida il suo popolo nella speranza della salvezza. Conosciamo - tramite Isaia -
il “secondo Esodo”, il ritorno dall'esilio di Babilonia alla propria terra, la
rifondazione del popolo; nello stesso tempo, però, molti rimangono nella
dispersione e così comincia l'universalità di questa fede. Alla fine non si
aspetta più solo un re, Davide, un figlio di Davide, ma un “Figlio d’uomo”, la
salvezza di tutti i popoli. Si realizzano incontri tra le culture, prima con
Babilonia e la Siria, poi anche con la moltitudine greca. Così vediamo come il
cammino di Dio si allarga, si apre sempre più verso il Mistero di Cristo, il Re
dell'universo. In Cristo si realizza finalmente la Rivelazione nella sua
pienezza, il disegno di benevolenza di Dio: Egli stesso si fa uno di noi. Mi
sono soffermato sul fare memoria dell’agire di Dio nella storia dell’uomo, per
mostrare le tappe di questo grande disegno di amore testimoniato nell’Antico e
nel Nuovo Testamento: un unico disegno di salvezza rivolto all’intera umanità,
progressivamente rivelato e realizzato dalla potenza di Dio, dove Dio sempre
reagisce alle risposte dell'uomo e trova nuovi inizi di alleanza quando l'uomo
si smarrisce. Questo è fondamentale nel cammino di fede. Siamo nel tempo
liturgico dell’Avvento
che ci prepara al Santo Natale. Come sappiamo tutti, il termine “Avvento”
significa “venuta”, “presenza”, e anticamente indicava proprio l’arrivo del re
o dell’imperatore in una determinata provincia. Per noi cristiani la parola
indica una realtà meravigliosa e sconvolgente: Dio stesso ha varcato il suo
Cielo e si è chinato sull’uomo; ha stretto alleanza con lui entrando nella
storia di un popolo; Egli è il re che è sceso in questa povera provincia che è
la terra e ha fatto dono a noi della sua visita assumendo la nostra carne,
diventando uomo come noi. L’Avvento
ci invita a ripercorrere il cammino di questa presenza e ci ricorda sempre di
nuovo che Dio non si è tolto dal mondo, non è assente, non ci ha abbandonato a
noi stessi, ma ci viene incontro in diversi modi, che dobbiamo imparare a
discernere. E anche noi con la nostra fede, la nostra speranza e la nostra
carità, siamo chiamati ogni giorno a scorgere e a testimoniare questa presenza
nel mondo spesso superficiale e distratto, e a far risplendere nella nostra
vita la luce che ha illuminato la grotta di Betlemme. Grazie.
Papa Benedetto XVI
venerdì 7 dicembre 2012
Anno della Fede - ottava catechesi (5 dicembre 2012)
Dio rivela il suo disegno di "benevolenza"
Cari
fratelli e sorelle, all’inizio
della sua Lettera ai cristiani di Efeso (cfr 1, 3-14), l’apostolo Paolo eleva
una preghiera di benedizione a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che
ci introduce a vivere il tempo di Avvento, nel contesto dell’Anno della fede. Tema di questo inno di
lode è il progetto di Dio nei confronti dell’uomo, definito con termini pieni
di gioia, di stupore e di ringraziamento, come un “disegno di benevolenza” (v.
9), di misericordia e di amore. Perché l’Apostolo eleva a Dio, dal profondo del
suo cuore, questa benedizione? Perché guarda al suo agire nella storia della
salvezza, culminato nell’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù, e
contempla come il Padre celeste ci abbia scelti prima ancora della creazione
del mondo, per essere suoi figli adottivi, nel suo Figlio Unigenito, Gesù
Cristo (cfr Rm 8,14s.; Gal 4,4s.). Noi
esistiamo, fin dall’eternità nella mente di Dio, in un grande progetto che Dio
ha custodito in se stesso e che ha deciso di attuare e di rivelare «nella
pienezza dei tempi» (cfr Ef 1,10). San
Paolo ci fa comprendere, quindi, come tutta la creazione e, in particolare,
l’uomo e la donna non siano frutto del caso, ma rispondano ad un disegno di
benevolenza della ragione eterna di Dio che con la potenza creatrice e
redentrice della sua Parola dà origine al mondo. Questa prima
affermazione ci ricorda che la nostra vocazione non è semplicemente esistere
nel mondo, essere inseriti in una storia, e neppure soltanto essere creature di
Dio; è qualcosa di più grande: è l’essere scelti da Dio, ancora prima della
creazione del mondo, nel Figlio, Gesù Cristo. In Lui, quindi, noi esistiamo,
per così dire, già da sempre. Dio ci contempla in Cristo, come figli adottivi.
Il “disegno di benevolenza” di Dio, che viene qualificato dall’Apostolo anche
come “disegno di amore” (Ef 1,5), è definito “il mistero” della volontà
divina (v. 9), nascosto e ora manifestato nella Persona e nell’opera di Cristo.
L’iniziativa divina precede ogni risposta umana: è un dono gratuito del suo
amore che ci avvolge e ci trasforma. Ma qual è lo
scopo ultimo di questo disegno misterioso? Qual è il centro della volontà di
Dio? E’ quello – ci dice san Paolo – di «ricondurre a Cristo, unico capo, tutte
le cose» (v. 10). In questa espressione troviamo una delle
formulazioni centrali del Nuovo Testamento che ci fanno comprendere il disegno
di Dio, il suo progetto di amore verso l’intera umanità, una formulazione che,
nel secondo secolo, sant’Ireneo di Lione mise come
nucleo della sua cristologia: “ricapitolare” tutta la realtà in Cristo. Forse
qualcuno di voi ricorda la formula usata dal Papa san Pio X per la
consacrazione del mondo al Sacro Cuore di Gesù: “Instaurare omnia in Christo”,
formula che si richiama a questa espressione paolina e che era anche il motto
di quel santo Pontefice. L’Apostolo, però, parla più precisamente di
ricapitolazione dell’universo in Cristo, e ciò significa che nel grande disegno
della creazione e della storia, Cristo si leva come centro dell’intero cammino
del mondo, asse portante di tutto, che attira a Sé l’intera realtà, per
superare la dispersione e il limite e condurre tutto alla pienezza voluta da
Dio (cfr Ef 1,23). Questo “disegno di benevolenza” non è rimasto, per
così dire, nel silenzio di Dio, nell’altezza del suo Cielo, ma Egli lo ha fatto
conoscere entrando in relazione con l’uomo, al quale non ha rivelato solo
qualcosa, ma Se stesso. Egli non ha comunicato
semplicemente un insieme di verità, ma si è auto-comunicato a noi, fino ad
essere uno di noi, ad incarnarsi. Il Concilio Ecumenico Vaticano II nella Costituzione
dogmatica Dei Verbum dice: «Piacque a Dio nella
sua bontà e sapienza rivelare se stesso [non solo qualcosa di sé, ma se stesso]
e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini, per
mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre
e sono così resi partecipi della divina natura» (n. 2). Dio non solo dice
qualcosa, ma Si comunica, ci attira nella divina natura così che noi siamo
coinvolti in essa, divinizzati. Dio rivela il suo grande disegno di amore
entrando in relazione con l’uomo, avvicinandosi a lui fino al punto di farsi
Egli stesso uomo. Il Concilio continua: «Il Dio invisibile nel suo grande amore
parla agli uomini come ad amici (cfr Es 33,11; Gv 15,14-15) e
vive tra essi (cfr Bar 3,38) per invitarli e ammetterli alla comunione
con Sé» (ibidem). Con la sola intelligenza e
le sue capacità l’uomo non avrebbe potuto raggiungere questa rivelazione così
luminosa dell’amore di Dio; è Dio che ha aperto il suo Cielo e si è abbassato
per guidare l’uomo nell’abisso del suo amore. Ancora san Paolo
scrive ai cristiani di Corinto: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio
udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo
amano. E a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti
conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio» (2,9-10). E san Giovanni Crisostomo, in una celebre pagina a commento
dell’inizio della Lettera agli Efesini, invita a gustare tutta la bellezza di
questo “disegno di benevolenza” di Dio rivelato in Cristo, con queste parole:
«Che cosa ti manca? Sei divenuto immortale, sei divenuto libero, sei divenuto
figlio, sei divenuto giusto, sei divenuto fratello, sei divenuto coerede, con
Cristo regni, con Cristo sei glorificato. Tutto ci è stato donato e – come sta
scritto – “come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8,32).
La tua primizia (cfr 1 Cor 15,20.23) è adorata dagli angeli […]: che
cosa ti manca?» (PG 62,11). Questa comunione in Cristo per opera
dello Spirito Santo, offerta da Dio a tutti gli uomini con la luce della
Rivelazione, non è qualcosa che viene a sovrapporsi alla nostra umanità, ma è
il compimento delle aspirazioni più profonde, di quel desiderio dell’infinito e
di pienezza che alberga nell’intimo dell’essere umano, e lo apre ad una
felicità non momentanea e limitata, ma eterna. San Bonaventura da Bagnoregio,
riferendosi a Dio che si rivela e ci parla attraverso le Scritture per condurci
a Lui, afferma così: «La sacra Scrittura è […] il libro nel quale sono scritte
parole di vita eterna perché, non solo crediamo, ma anche possediamo la vita
eterna, in cui vedremo, ameremo e saranno realizzati tutti i nostri desideri» (Breviloquium,
Prol.; Opera Omnia V, 201s.). Infine, il beato Papa Giovanni Paolo II ricordava che «la
Rivelazione immette nella storia un punto di riferimento da cui l’uomo non può
prescindere, se vuole arrivare a comprendere il mistero della sua esistenza;
dall’altra parte, però, questa conoscenza rinvia costantemente al mistero di Dio,
che la mente non può esaurire, ma solo accogliere nella fede» (Enc. Fides et ratio, 14). In questa prospettiva, che cos’è dunque l’atto della fede?
E’ la risposta dell’uomo alla Rivelazione di Dio, che si fa conoscere, che
manifesta il suo disegno di benevolenza; è, per usare un’espressione
agostiniana, lasciarsi afferrare dalla Verità che è Dio, una Verità che è
Amore. Per questo san Paolo sottolinea come a Dio, che ha rivelato
il suo mistero, si debba «l’obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr 1,5; 2
Cor 10, 5-6), l’atteggiamento con il quale «l’uomo liberamente si abbandona
tutto a Lui, prestando la piena adesione dell’intelletto e della volontà a Dio
che rivela e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli da» (Cost
dogm. Dei Verbum, 5). Tutto questo porta ad
un cambiamento fondamentale del modo di rapportarsi con l’intera realtà; tutto
appare in una nuova luce, si tratta quindi di una vera “conversione”, fede è un
“cambiamento di mentalità”, perché il Dio che si è rivelato in Cristo e ha fatto
conoscere il suo disegno di amore, ci afferra, ci attira a Sé, diventa il senso
che sostiene la vita, la roccia su cui essa può trovare stabilità. Nell’Antico
Testamento troviamo una densa espressione sulla fede, che Dio affida al profeta
Isaia affinché la comunichi al re di Giuda, Acaz. Dio afferma: «Se non
crederete - cioè se non vi manterrete fedeli a Dio - non resterete saldi» (Is
7,9b). Esiste quindi un legame tra lo stare e il comprendere, che
esprime bene come la fede sia un accogliere nella vita la visione di Dio sulla
realtà, lasciare che sia Dio a guidarci con la sua Parola e i Sacramenti nel
capire che cosa dobbiamo fare, qual è il cammino che dobbiamo percorrere, come
vivere. Nello stesso tempo, però, è proprio il comprendere secondo Dio, il
vedere con i suoi occhi che rende salda la vita, che ci permette di “stare in
piedi”, di non cadere. Cari amici, l’Avvento, il
tempo liturgico che abbiamo appena iniziato e che ci prepara al Santo Natale,
ci pone di fronte al luminoso mistero della venuta del Figlio di Dio, al grande
“disegno di benevolenza” con il quale Egli vuole attirarci a Sé, per farci
vivere in piena comunione di gioia e di pace con Lui. L’Avvento ci
invita ancora una volta, in mezzo a tante difficoltà, a rinnovare la certezza
che Dio è presente: Egli è entrato nel mondo, facendosi uomo come noi, per
portare a pienezza il suo piano di amore. E Dio chiede che anche noi diventiamo
segno della sua azione nel mondo. Attraverso la nostra fede, la nostra
speranza, la nostra carità, Egli vuole entrare nel mondo sempre di nuovo e vuol
sempre di nuovo far risplendere la sua luce nella nostra notte.
papa Bendetto XVI
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