Ospedale

Alcune piccole note sugli ammalati dell'ospedale di Montecatone




Gli ospiti dell'ospedale di Montecatone mostrano una grande dignità nella accettazione del dolore. Molti sono pervasi da una bellissima e limpidissima fede in Cristo che sgorga dal loro cuore trafitto - unito a quello di Cristo sulla croce - pieno di Spirito Santo. L'incontro con Francesco Miceli è sempre speciale. 

Scrive Francesco  nella poesia "Al mio caro Gesù":

"Mio caro Gesù, 
Tu che mi hai visto nascere
Tu che mi hai visto crescere
Tu che mi hai insegnato a camminare,
a corrrere, ad abbracciare!
Tu che mi hai insegnato a pregare
a genuflettermi e ad amare.
Tu che sei stato la mia guida
nella vita, adesso che voglio
abbracciare, ti sei preso le mie braccia!
Volevo correre, camminare,
ti sei preso le mie gambe!
Di tutto quello che mi hai dato
di una cosa ti sono grato
hai rafforzato il mio credo
senza negarmi la voglia di combattere!
Fa che un giorno possa raccontare
tutto ciò che hai dettato al mio cuore,
affinchè tutti coloro che han conosciuto questo dolore
possano rifugiarsi e trovare ristoro al calore della tua presenza,
e senza indugio alcuno, nessuno potrà mai perdere la speranza
di poter tornare davanti a Te e genuflettersi a mani giunte!"

(Francesco Miceli, "Correre ... sulle ali del pensiero", ed VOLABO, 2008, p.57)




(link altro video cappellina di qualità inferiore)


GUIDA ALLA DISABILITA' 24 novembre 2011 (link per il download): guida d'orientamento al complesso di norme e leggi in materia e vademecum delle agevolazioni previste - Aggiornamento ottobre 2011
 

Il Vangelo della sofferenza





UNZIONE DEGLI INFERMI

"L'Unzione degli Infermi associa il sofferente all'offerta che Cristo ha fatto di sè per la Salvezza di tutti, così che anch'egli possa, nel mistero della comunione dei santi, partecipare alla redenzione del mondo" (papa Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 22).



Articolo sulla XX Giornata Mondiale del Malato dello 11 febbraio 2012





SCHEDA: MALATTIA, MEDICI CATTOLICI E MORALE
(a cura di monsignor Raffaello Martinelli, Officiale alla Congregazione per la Dottrina della Fede e collaboratore del Cardinale Joseph Ratzinger; LINK ESTERNO)

Da dove ha origine la malattia?

• La Fede cristiana afferma che Dio non ha creato la malattia. Essa è entrata nel mondo a causa del primo peccato, commesso dall’uomo Adamo e dalla donna Eva, allorquando, tentati dal Diavolo, abusando della loro libertà, hanno disobbedito a Dio: volevano essere superiori allo stesso Dio e bramavano di conseguire il loro fine al di fuori di Dio. In seguito i peccati di ogni singola persona non faranno che accrescere il mondo delle sofferenze umane.

Dio quindi non vuole la malattia; non ha creato il male e la morte. Ma, dal momento in cui queste, a causa del peccato, sono entrate nel mondo, il suo amore è tutto proteso a risanare l’uomo, a guarirlo dal peccato e da ogni male e a colmarlo di vita, di pace e di gioia. Per questo ha inviato il Suo Figlio Gesù, che è morto e risorto per liberare l’uomo dal peccato e dalle sue conseguenze.



Qual è il senso della malattia?

La malattia, che tocca prima o poi tutti e coinvolge la persona a tutti i livelli (da quello fisico a quello psicologico, spirituale, morale), è e rimane pur sempre un mistero, un enigma.
La scienza e la tecnica possono aiutare a trovare una risposta alla malattia. Esse possono curarla, alleviarla, eliminarla almeno in parte, ma non potranno mai eliminarla del tutto, e soprattutto non potranno mai dare una risposta soddisfacente agli interrogativi fondamentali che la sofferenza, la malattia, la stessa morte suscitano nel cuore dell’uomo.

• Occorre approfondire il senso della malattia, del dolore, della sofferenza tenendo presenti anche i loro fondamenti medico-scientifici, storici, filosofici, biblici, teologici.

• È importante in particolare approfondire i testi della S. Scrittura sulla visione della sofferenza, sul senso della morte.

• Il senso ultimo di tali realtà lo si può scoprire soltanto alla luce della Fede cristiana: Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime” (Gaudium et spes, n.22).

• Dio infatti non ha risparmiato la sofferenza e perfino la morte al Suo stesso divin Figlio Gesù, il quale vince il peccato e gli effetti di questo (la malattia, la sofferenza, la violenza e la morte) con la Sua morte in croce e soprattutto con la Sua Risurrezione.

• E questa vittoria Cristo la riporta anzitutto per se stesso, distruggendo la morte con la Sua Risurrezione, e poi anche per noi. Infatti, mediante il Battesimo da lui istituito, ci viene perdonato il peccato originale e risorgiamo alla vita dei figli di Dio. Durante poi tutto il corso della nostra vita quaggiù sulla terra, lottando contro il peccato e le sue conseguenze, riportiamo con Cristo la nostra vittoria, che per ora è parziale, in attesa di quella definitiva che Cristo attuerà per noi alla fine di questo mondo, allorquando ogni sofferenza, malattia, morte saranno da Lui definitivamente distrutte.
• Pertanto, la sofferenza può diventare sereno abbandono alla volontà divina e partecipazione al sacrificio di Cristo.



Perché continuano ad esistere la malattia e la sofferenza, nonostante Dio sia buono, onnipotente, provvidente?

Il Catechismo della Chiesa Cattolica così scrive a questo riguardo:

«A questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna risposta immediata potrà bastare. È l’insieme della Fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l’amore paziente di Dio che viene incontro all’uomo con le sue alleanze, con l’incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con la convocazione della Chiesa, con la forza dei sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi. Non c’è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema del male.

• Nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo in stato di via verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri, la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico, esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione.

• Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua provvidenza onnipotente, può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue creature. Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l’uccisione del Figlio di Dio, causati dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene.

Noi crediamo fermamente che Dio è Signore del mondo e della storia. Ma le vie della sua provvidenza spesso ci rimangono sconosciute. Solo alla fine, quando avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio “faccia a faccia” (1Cor 13,12), conosceremo pienamente le vie lungo le quali, anche attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di quel Sabato definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra» (CCC, nn.309- 314).




Come si è comportato Cristo nei confronti dei malati?

Cristo, nella sua vita terrena, ha avuto una particolare predilezione verso i malati e i sofferenti. Infatti:
- ha prediletto coloro che soffrono

- ha guarito molti ammalati, che a lui ricorrevano con fiducia: tali guarigioni mostrano che Gesù è veramente ‘Dio che salva’

- non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che è la causa di tutti i mali e sofferenze

- si è identificato con il malato: “ Ero malato e mi avete visitato”(Mt 25,36); “ Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17)

- ha affidato ai suoi discepoli il ministero della guarigione, dicendo loro: “Guarite gli infermi” (Mt 10,8)
- ha istituito in particolare due sacramenti per i malati: l’Eucaristia (in quanto Viatico) e il Sacramento dell’Unzione dei malati

- ha insegnato a quelli che lo seguivano a trascendere la sofferenza e a darle un significato salvifico

- ha invitato tutti i suoi seguaci ad essere disposti a soffrire con lui e come lui: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24)

- ha assicurato il suo aiuto: “ Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9)

- continua a essere con noi e per noi, soprattutto nei nostri momenti di sofferenza.



Ma Gesù Cristo ha fatto anche molto di più:

- ha vissuto, lui stesso, la sofferenza, fino alla morte e alla morte di croce

- ha vinto, risorgendo, la sofferenza e la morte, per sé e per noi.




Qual è il comportamento della Chiesa nei confronti dei malati?

La Chiesa, nella sua costante sollecitudine per i malati:

• proclama e testimonia il Vangelo della sofferenza illuminata dalla Fede

• ha sempre accompagnato e continuerà ad accompagnare la predicazione del Vangelo, con iniziative di assistenza e di cura a favore di schiere innumerevoli di sofferenti
• offre il proprio contributo specifico attraverso l’accompagnamento umano e spirituale degli infermi
• invita ad aprirsi al messaggio dell’amore di Dio, sempre attento alle lacrime di chi si rivolge a lui
• sostiene l’importanza della pastorale sanitaria, nella quale ricoprono un ruolo di speciale rilievo le cappelle ospedaliere, che tanto contribuiscono al bene spirituale di quanti soggiornano nelle strutture sanitarie

• favorisce lo sviluppo di quel contributo prezioso che è dato dai volontari, che con il loro servizio danno vita a quella fantasia della carità, che infonde speranza anche all’umana esperienza della sofferenza. E’ anche per mezzo di tali volontari che Gesù può continuare oggi a passare tra gli uomini, per beneficarli e sanarli.



Qual è il compito della Medicina?

La medicina ha come compito quello di:

servire sempre la vita: promuovendola e difendendola dal suo concepimento fino al suo tramonto naturale. Anche quando sa di non poter debellare una grave patologia, dedica le proprie capacità a lenirne le sofferenze

riconoscere e rispettare (o almeno non escludere) la dimensione trascendente, morale e spirituale della vita umana

attuare e accrescere la ricerca e il progresso scientifico:

- come strumento formidabile per migliorare le condizioni di vita e di benessere

- nel rispetto dell’intangibilità di ogni singolo essere umano

- evitando ogni volontà di sopraffazione e di dominio.

- fare continuamente un’attenta riflessione sulla natura stessa dell’uomo, sulla sua dignità di essere umano creato da Dio a sua immagine e somiglianza. Tale dignità inviolabile dell’uomo:

- pone l’uomo al centro e al vertice di tutto ciò che esiste sulla terra

- trova il suo fondamento:

- nel mistero della Creazione, e in quello della Redenzione, operata da Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio, Verbo della Vita

- nella destinazione dell’uomo, il quale è chiamato ad essere figlio di Dio nel Figlio (Gesù Cristo) e tempio vivo dello Spirito Santo, nella prospettiva dell’eterna vita di comunione beatificante con Dio

- va rispettata in qualunque circostanza o condizione l’uomo si trovi e a qualunque stadio della sua crescita esso si trovi (embrione, feto, bambino, adulto, anziano o morente). Neppure la sofferenza, lo stato di incoscienza, l’imminenza della morte diminuiscono l’intrinseca dignità della persona.

• ricordare che il servizio della medicina alla vita e alla salute è sempre e comunque un servizio che rimanda al senso della sofferenza e della morte

lasciarsi vivificare dall’ispirazione cristiana, la quale non toglie nulla all’uomo e alla ricerca scientifica, ma anzi la sostiene, la illumina e la indirizza al vero e integrale benessere di ogni persona e di tutta la persona.



Qual è il compito dei medici?

I medici hanno il compito di:

essere i servitori della vita, che è sempre un bene in se stessa e per se stessa

rispettare i principi etici che hanno le loro radici nello stesso Giuramento di Ippocrate, il quale afferma che:

- non vi sono vite indegne di essere vissute

- non vi sono sofferenze, per quanto penose, che possano giustificare la soppressione di un’esistenza
- non vi sono ragioni, per quanto alte, che rendano plausibile la creazione di essere umani destinati ad essere utilizzati e distrutti.

• contribuire fattivamente ad eliminare i motivi di sofferenza che umiliano e rattristano l’uomo, e ad edificare un mondo sempre più rispondente alla dignità dell’essere umano

• porsi in ascolto di ogni uomo, senza distinzione né discriminazione alcuna, ed accogliere tutti per alleviare le sofferenze di ciascuno

vedere nel malato non un numero clinico, ma una persona alla quale avvicinarsi con umanità e partecipazione: nonostante tutto, il malato resta più grande della sua malattia e la sua vita più grande di ciò che la minaccia

curare sì la malattia, ma soprattutto il malato, tenendo presente la complementarietà e l’interdipendenza di tutte le dimensioni della persona (fisiche, affettive, morali, spirituali, familiari, sociali…)
andare incontro alle necessità di tutta la persona, ricordando che l’unica risposta veramente umana, di fronte alla sofferenza altrui, è l’amore che si prodiga nell’accompagnamento e nella condivisione
aggiungere all’apporto insostituibile della propria professionalità, il ‘cuore’, che solo è in grado di arrivare al ‘cuore’ dell’ammalato e di umanizzare le strutture

vivere la propria professione come dono di sé all’ammalato (carità professionale)
ricordarsi che esiste una relazione direttamente proporzionale tra la capacità di soffrire e la capacità di aiutare chi soffre: chi è disposto ad accettare e sopportare con forza interiore e con serenità le proprie sofferenze è anche la persona più sensibile al dolore altrui e più dedita a lenire i dolori degli altri

• attuare la vera compassione, la quale:

- promuove ogni ragionevole sforzo per favorire la guarigione del paziente
- accompagna il paziente con amorevole rispetto e dedizione durante l’intero decorso della sua malattia, ponendo in atto tutte le azioni e le attenzioni possibili per diminuirne le sofferenze e favorirne un vissuto per quanto possibile sereno

- stimola la solidarietà e la condivisione non solo accanto e per chi soffre senza più speranze, ma anche accanto e per chi vive l’esperienza del dolore di una persona cara

- nello stesso tempo aiuta a fermarsi quando nessuna azione risulta ormai utile alla guarigione.



Qual è il compito dei medici cattolici?

Il medico cattolico ha la missione di:

• attuare gli stessi impegni sopradescritti comuni ai medici non cattolici, con maggiore dedizione e spirito di abnegazione, testimoniando l’amore di Cristo per i malati

• prestare attenzione alla dimensione spirituale dell’uomo, avendo ben presente il senso cristiano della vita e della morte, e la funzione del dolore nella vicenda umana

rispettare sempre e fedelmente la legge di Dio, attuando se necessario anche l’obiezione di coscienza nei confronti di leggi fatte dagli uomini che contraddicono la legge divina

saper riconoscere in ogni ammalato lo stesso Cristo, i lineamenti del Suo Volto divino: prendendosi cura dell’ammalato, il cristiano sa di prendersi cura di Cristo stesso (cfr. Mt 25,35-40)

attingere dalla Fede cristiana il conforto nella propria sofferenza e la capacità di lenire la sofferenza altrui

essere consapevole di essere strumento dell’amore misericordioso di Dio

collaborare con quanti sono impegnati nella pastorale della sofferenza

• vivificare il proprio servizio medico con la preghiera costante a Dio, “amante della vita” (Sap 11,26), ricordando sempre che la guarigione, in ultima istanza, viene dall’Altissimo, per l’intercessione particolare anche della Vergine Maria invocata come Salus infirmorum et Mater Scientiae
• mettere in atto non solo le cure mediche, ma anche le cure spirituali, le quali costituiscono non solo un bisogno sentito, ma addirittura un diritto fondamentale di ogni malato, con la conseguente responsabilità di coloro che lo assistono

• interrogarsi sulla propria spiritualità, sul sistema di valori che giuda la propria esistenza, sulle risposte che nascono nel cuore agli interrogativi concernenti il significato della sofferenza e della morte
portare il conforto cristiano ai malati e ai loro familiari

• favorire da parte del malato la richiesta e l’accoglienza nella Fede, dei sacramenti che Cristo ha istituito anche per aiutare spiritualmente l’ammalato: i Sacramenti della Confessione, dell’Eucaristia (in particolare come Viatico) e dell’Unzione dei malati.



Quali aspetti positivi provengono dalla malattia?

La malattia può:

• aiutare a prendere coscienza del nostro limite, della nostra umana fragilità, della provvisorietà del nostro cammino qui sulla terra

dare origine a una fitta e larga rete di solidarietà a livello familiare e sociale (volontariato)

• offrire la possibilità di saper leggere il disegno di Dio nella propria vita. La “chiave” di tale lettura è costituita dalla Croce di Cristo. Il Verbo incarnato si è fatto incontro alla nostra debolezza assumendola su di sé nel mistero della Croce. Chi sa accoglierla nella sua vita sperimenta come il dolore, illuminato dalla Fede, diventi fonte di speranza e di salvezza

• costituire una concreta possibilità, offerta alla nostra libertà, per decidere quale compimento scegliere per la nostra esistenza

avere anche un valore redentivo per sé e per gli altri. Se la sofferenza è unita a quella di Cristo, diviene partecipazione all’opera salvifica di Gesù Cristo, diventa mezzo di salvezza, può recare benefici morali e spirituali al paziente e all’umanità. “Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).



Quali benefici arreca il sacramento dell’Unzione ai malati?

Tale sacramento, istituito da Cristo non per i morti, ma per i vivi, e cioè per il cristiano che è gravemente ammalato:

• conferisce un dono particolare dello Spirito Santo: una grazia di conforto, di pace e di coraggio:

- per affrontare le difficoltà della malattia

- per unirsi più intimamente alla passione di Cristo

- per contribuire al bene del Popolo di Dio.

perdona tutti i peccati, se non è stato possibile celebrare prima il sacramento della Confessione

favorisce talvolta la guarigione, se ciò giova alla salvezza spirituale del malato

• prepara al passaggio alla vita eterna

• consente di usufruire della preghiera di tutta la Chiesa:

- che intercede per il bene del malato

- che soffre insieme a lui

- che si offre, per mezzo di Cristo, a Dio Padre.



Qual è la concezione cristiana circa le cure palliative?

La Fede cristiana:

• riconosce la liceità e la necessità in taluni casi delle cure palliative, le quali sono “destinate a rendere più sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n.65). Esse infatti mirano a lenire specialmente nel paziente terminale, una vasta gamma di sintomi di sofferenza fisica, psichica e mentale, e richiedono perciò l’intervento di un’équipe di specialisti con competenza medica, psicologica e religiosa, tra loro affiatati per sostenere il paziente nella fase critica
• afferma nello stesso tempo la necessità di rispettare la libertà dei pazienti, i quali devono essere posti in grado, nella misura del possibile, “di soddisfare ai loro obblighi morali e familiari e soprattutto devono potersi preparare con piena coscienza all’incontro definitivo con Dio” (op. cit., n. 65)

raccomanda che la somministrazione degli analgesici sia effettivamente proporzionata all’intensità e alla cura del dolore, evitando ogni forma di eutanasia quale si avrebbe somministrando ingenti dosi di analgesici proprio con lo scopo di provocare la morte

• ricorda la teoria del cosiddetto duplice effetto legato all’uso di tali farmaci: essi infatti se da una parte sicuramente attenuano il dolore, dall’altra possono indurre dipendenza o addirittura accelerare l’effetto letale della malattia

• incoraggia la formazione di specialisti delle cure palliative, in particolare con la creazione sia di strutture didattiche alle quali possono essere interessati anche psicologi e operatori della pastorale, sia di case di accoglienza per i malati terminali, ricordando che già nel primo secolo, al tempo del Papa San Cleto – terzo successore di S. Pietro – la Chiesa aveva provveduto alla loro costruzione.



Che cosa dice la fede cristiana circa l’accanimento terapeutico?

La Fede cristiana afferma che:

• il rifiuto dell’accanimento terapeutico non è un rifiuto del paziente e della sua vita

• l’oggetto della deliberazione sull’opportunità di iniziare o continuare una pratica terapeutica non è il valore della vita del paziente, ma il valore dell’intervento medico sul paziente

• l’eventuale decisione di non intraprendere o di interrompere una terapia è da ritenersi eticamente corretta quando questa risulti inefficace o chiaramente sproporzionata ai fini del sostegno della vita o del recupero della salute del paziente

• il rifiuto dell’accanimento terapeutico pertanto è espressione del rispetto che in ogni istante si deve al paziente.



Quando avranno fine la malattia, la sofferenza e la morte?

Esse avranno fine allorquando Cristo Signore ritornerà alla fine dei tempi, per liberare l’universo dalla corruzione e dalla morte e per rinnovarlo con “i nuovi cieli e una terra nuova” (2 Pt 3,13).

NB Per approfondire l’argomento, si leggano i seguenti documenti pontifici:

* CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, (CCC), 1992;

* GIOVANNI PAOLO II:

- Salvifici Doloris, 1984

- Evangelium vitae, 1995;

* Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae, 1987.





La Pastorale della Salute: la certezza evangelica della salute!


La Chiesa è per la cura cattolica (etim. "katà-olon", cioè "secondo il tutto" o "universale") o "integrale" non riducendo l'orizzonte della cura - secondo l'ideologia meccanicistica biomedica che si occupa più delle malattie che della persona - a ciò che misurabile ma curando la persona anche nella sua dimensione fisica, psichica, sociale e spirituale. La pericolosa frammentazione del concetto di Salute ha portato la Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a formulararlo – nella sua costituzione del 1948 - in modo più ampio:  "La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità", riconoscendo all'uomo una totalità eccedente il solo essere "ammalato" ma alla luce dell'antropologia cristiana incompleto non tenendo conto dell'aspetto spirituale dell’essere umano. Afferma papa Giovanni Paolo II il 16 aprile 1986 nel discorso "L'uomo immagine di Dio è un essere spirituale e corporeo""L'uomo creato a immagine di Dio è un essere insieme corporale e spirituale, un essere cioè che, per un aspetto, è legato al mondo esteriore e per l'altro lo trascende. In quanto spirito, oltre che corpo, egli è persona. Questa verità sull'uomo è oggetto della nostra fede, così come lo è la verità biblica circa la sua costituzione a «immagine e somiglianza» di Dio; ed è verità costantemente presentata, nel corso dei secoli, dal magistero della Chiesa". Anche nel motu proprio "Dolentium Hominum" dell'11 febbraio 1985 che costituisce la "Pontificia commissione per gli operatori sanitari" che nel 1988 viene elevata a "Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari" si evidenzia che nel suo approccio agli infermi e al mistero della sofferenza, la Chiesa è guidata da una precisa concezione della persona umana e del suo destino nel piano di Dio. Essa ritiene che la medicina e le cure terapeutiche abbiano come obiettivi non solo il bene e la salute del corpo, ma la persona come tale che, nel corpo, è ferita dal male. La malattia e la sofferenza infatti non sono esperienze che riguardano soltanto il sostrato fisico dell’uomo ma l’uomo nella sua interezza e nella sua unità somatico-spirituale” (N°2).  In seguito, nel suo discorso alla quarta Plenaria del nostro Pontificio Consiglio, tenuta nel 1998, lo stesso Giovanni Paolo II ribadiva che il concetto di salute non può limitarsi a significare soltanto l’assenza di malattia o di momentanee disfunzioni organiche: piuttosto, “investe” sottolinea il Santo Padre “il benessere di tutta la persona, il suo stato biofisico, psichico e spirituale”. Pertanto, “la cura degli infermi, se svolta in un contesto di rispetto della persona, non si limita alla terapia medica o all’intervento chirurgico, ma mira a guarire integralmente l’uomo, restituendolo all’armonia di un interiore equilibrio, al gusto della vita, alla gioia dell’amore e della comunione”. Se dunque il benessere, la Salus, non è una realtà statica, si può addirittura aggiungere che lo stato di sofferenza, sia temporaneo sia permanente, può diventare un motore di crescita e di salvezza. Un esempio permanente e di sempre maggiore attualità, specialmente nei Paesi occidentali, è dato dal modo di interpretare ed affrontare la vecchiaia e il bagaglio di sofferenza che molto spesso la correda.
Ma che cosa è la sofferenza? La lettera apostolica Salvifici Doloris del 1984, scritta, come sappiamo, da Giovanni Paolo II, sottolinea che “l’uomo soffre in modi diversi, non sempre contemplati dalla medicina, neanche nelle sue più avanzate specializzazioni. La sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso ed insieme ancor più profondamente radicato nell’umanità stessa” (N°5). Distinguendo fra la “sofferenza fisica” e la “sofferenza morale”, il Papa Giovanni Paolo II definisce la prima come dolore del corpo e la seconda come dolore dell’anima, dunque “un dolore di natura spirituale”, che non si esaurisce nella solo dimensione fisica del dolore e risulta meno raggiungibile della terapia. Leggiamo dall'enciclica "Salvici Doloris" - di papa Giovanni Paolo II - dell'11 febbraio 1984, al N°5: "L'uomo soffre in modi diversi, non sempre contemplati dalla medicina, neanche nelle sue più avanzate specializzazioni. La sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso ed insieme ancor più profondamente radicato nell'umanità stessa. Una certa idea di questo problema ci viene dalla distinzione tra sofferenza fisica e sofferenza morale. Questa distinzione prende come fondamento la duplice dimensione dell'essere umano, ed indica l'elemento corporale e spirituale come l'immediato o diretto soggetto della sofferenza. Per quanto si possano, fino ad un certo grado, usare come sinonimi le parole « sofferenza » e « dolore », la sofferenza fisica si verifica quando in qualsiasi modo «duole il corpo», mentre la sofferenza morale è «dolore dell'anima». Si tratta, infatti, del dolore di natura spirituale, e non solo della dimensione « psichica » del dolore che accompagna sia la sofferenza morale, sia quella fisica. La vastità e la multiformità della sofferenza morale non sono certamente minori di quella fisica; al tempo stesso, però, essa sembra quasi meno identificata e meno raggiungibile dalla terapia". Alla luce di tutto ciò, nell’affrontare il dramma della malattia e della sofferenza, la Chiesa non può accettare di ridurre l’orizzonte umano a livello di ciò che è misurabile, come spesso si tende a fare al giorno d’oggi. E ribadisce che la persona deve essere oggetto di cura nella sua interezza fisica, psichica, sociale e in ultimo, ma non certo per ultima, spirituale. Ne nasce così un nuovo concetto di cura: una cura integrale, che prende in considerazione la persona in tutte le sue dimensioni e che si pone come obiettivo la promozione della salute umana, ovvero della salute dell’uomo nella sua interezza. Si legge ancora, nel Motu Proprio Dolentium Hominum: “Si comprende perciò facilmente quale importanza rivesta, nei servizi socio-sanitari, la presenza non solo di pastori di anime, ma anche di operatori, i quali siano guidati da una visione integralmente umana della malattia e sappiano attuare, di conseguenza, un approccio compiutamente umano al malato che soffre” (N°2).
Il secondo punto centrale è la salute come certezza. Dopo questo excursus sulla persona e sulla sofferenza è coerente chiedersi se la salute possa dirsi certa? Partire dalla certezza della salute significa porre una domanda. In effetti, l’esperienza ci mostra che, secondo la medicina meramente meccanicistica, non sempre la malattia si risolve nella guarigione. Ebbene, è la salute dello spirito che, per intervento della grazia divina, laddove l’uomo lasci ad essa lo spazio di agire nella propria vita, è certa e lo è sempre. L’anima che ha molto sofferto, che ha patito, una volta guarita, è sanata per l’eternità. E questo per noi cristiani è molto importante. Possiamo in questa ottica dire che la salute dello spirito che si può conquistare oggi, contribuirà fortemente alla salvezza dell’anima. La salus è raggiungibile ed è certezza perché persino la sofferenza, qualunque dimensione dell’uomo rivesta, se vissuta alla luce del messaggio evangelico di Cristo, è essa stessa veicolo di salvezza, di redenzione per sé e per gli altri. La dottrina ci insegna che l’uomo sofferente è assimilato al Cristo sofferente, e la sofferenza dell’essere umano è opportunità per lo stesso di salvezza, di condivisione della croce di Cristo, è uno strumento che può unire a Dio, un veicolo di comunione con Lui. Di questo parla molto Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica sulla sofferenza umana, Salvifici Doloris. “Per Cristo e in Cristo si illumina l’enigma del dolore e della morte” (Salvifici Doloris, numero 31). "La sofferenza dell’essere umano, così trasformata nel mistero della sofferenza del Redentore, diventa" - scrive il Santo Padre - l’insostituibile mediatrice ed autrice dei beni, indispensabili per la salvezza del mondo. E’ essa, più di ogni altra cosa, a fare strada alla Grazia che trasforma le anime umane (N°27).
La salus, la salvezza che l’uomo malato può guadagnare per sé ma anche - e ciò certamente è tutt’altro che secondario - per gli altri, ed in particolare per coloro che sono chiamati a soccorrerlo, sulle orme del Buon Samaritano. In riferimento alla parabola evangelica, nella lettera apostolica Salvifici Doloris Giovanni Paolo II evidenzia che il buon samaritano è “ogni uomo che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo” (N°28), non per curiosità ma con disponibilità, che si commuove e mostra compassione per il sofferente, e quindi agisce per portare aiuto. Cristo - continua Giovanni Paolo II - “ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre”. E’ una frase molto interessante, molto profonda e per questo, ancora una volta, vorrei ripetere che Giovanni Paolo II ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene chi soffre. Anche la medicina, chiamata alla difesa e alla cura della vita umana, “si presta sempre più a realizzare questi atti contro la persona e in tal modo deforma il suo volto, contraddice se stessa e avvilisce la dignità di quanti la esercitano (…). Se é quanto mai grave e inquietante il fenomeno dell’eliminazione di tante vite umane nascenti o sulla via del tramonto, non meno grave e inquietante è il fatto che la stessa coscienza fatica sempre più a percepire la distinzione fra il bene e il male in ciò che tocca lo stesso fondamentale valore della vita umana” (Evangelium Vitae, N°4). La Chiesa non cessa mai di ripetere che la vita è sacra, è sacra - come ha scritto Giovanni Paolo II nell’enciclica Evagelium Vitae - dal naturale concepimento al naturale tramonto. Infatti: "La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta "l'azione creatrice di Dio" e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente». Con queste parole l'Istruzione Donum vitae espone il contenuto centrale della rivelazione di Dio sulla sacralità e inviolabilità della vita umana" (Evangelium Vitae, 53). Il Santo Padre papa Benedetto XVI - il 15 novembre 2010 nel discorso "Andate controcorrente per difendere la dignità di ogni essere umano" - ha scritto: “Chinarsi come il Buon Samaritano verso l’uomo ferito, abbandonato sul ciglio della strada è adempiere quella giustizia più grande che Gesù chiede ai suoi discepoli e attua nella sua vita, perché l’adempimento della Legge è l’amore. La comunità cristiana, seguendo le orme del suo Signore, ha adempiuto il mandato di andare nel mondo a insegnare e curare gli infermi e, nei secoli - sottolinea il Santo Padre - ha fortemente avvertito il servizio ai malati e ai sofferenti come parte integrante della sua missione di testimoniare la salvezza integrale che è salute dell’anima e del corpo






Papa Benedetto XVI:  
"Andare controcorrente per difendere la dignità di ogni essere umano"
(15 novembre 2010)

"Con gioia desidero far giungere il mio cordiale saluto ai partecipanti alla XXV Conferenza Internazionale, che bene si inserisce nell’anno celebrativo dei 25 anni dalla istituzione del Dicastero (Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari) - nel 1985 - ed offre un motivo ulteriore per ringraziare Dio di questo prezioso strumento per l’apostolato della misericordia. Un pensiero riconoscente verso tutti coloro che si adoperano, nei vari settori della pastorale della salute, per vivere quella diaconia della carità, che è centrale nella missione della Chiesa. In questo senso, mi è grato ricordare i Cardinali Fiorenzo Angelini e Javier Lozano Barragán, che hanno guidato in questi 25 anni il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e rivolgere un particolare saluto all’attuale Presidente del Dicastero, l’Arcivescovo Zygmunt Zimowski, come pure al Segretario, al Sotto-Segretario, agli Officiali, ai collaboratori, ai relatori del Convegno e a tutti i presenti. Il tema da voi scelto quest’anno "Caritas in veritate". Per una cura della salute equa ed umana" riveste un interesse particolare per la comunità cristiana, in cui è centrale la cura per l’essere uomo, per la sua dignità trascendente e per i suoi diritti inalienabili. La salute è un bene prezioso per la persona e la collettività da promuovere, conservare e tutelare, dedicando mezzi, risorse ed energie necessarie affinché più persone possano usufruirne. Purtroppo, ancora oggi permane il problema di molte popolazioni del mondo che non hanno accesso alle risorse necessarie per soddisfare i bisogni fondamentali, in modo particolare per quanto riguarda la salute. È necessario operare con maggiore impegno a tutti i livelli affinché il diritto alla salute sia reso effettivo, favorendo l’accesso alle cure sanitarie primarie. Nella nostra epoca si assiste da una parte ad un’attenzione alla salute che rischia di trasformarsi in consumismo farmacologico, medico e chirurgico, diventando quasi un culto per il corpo, e dall’altra parte, alla difficoltà di milioni di persone ad accedere a condizioni di sussistenza minimali e a farmaci indispensabili per curarsi. Anche nel campo della salute, parte integrante dell’esistenza di ciascuno e del bene comune, è importante instaurare una vera giustizia distributiva che garantisca a tutti, sulla base dei bisogni oggettivi, cure adeguate. Di conseguenza, il mondo della salute non può sottrarsi alle regole morali che devono governarlo affinché non diventi disumano. Come ho sottolineato nell’Enciclica Caritas in veritate, la Dottrina Sociale della Chiesa ha sempre evidenziato l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale nei vari settori delle relazioni umane (n. 35). Si promuove la giustizia quando si accoglie la vita dell’altro e ci si assume la responsabilità per lui, rispondendo alle sue attese, perché in lui si coglie il volto stesso del Figlio di Dio, che per noi si è fatto uomo. L’immagine divina impressa nel nostro fratello fonda l’altissima dignità di ogni persona e suscita in ciascuno l’esigenza del rispetto, della cura e del servizio. Il legame fra giustizia e carità, in prospettiva cristiana, è molto stretto: "La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del «mio» all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è «suo», ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare [...] Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è ‘inseparabile dalla carità’, intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità" (ibid., 6). In questo senso, con espressione sintetica e incisiva, Sant’Agostino insegnava che "la giustizia consiste nell’aiutare i poveri" (De Trinitate, XIV, 9: PL 42, 1045). Chinarsi come il Buon Samaritano verso l’uomo ferito abbandonato sul ciglio della strada è adempiere quella "giustizia più grande" che Gesù chiede ai suoi discepoli e attua nella sua vita, perché l’adempimento della Legge è l’amore. La comunità cristiana, seguendo le orme del suo Signore, ha adempiuto il mandato di andare nel mondo a "insegnare e curare gli infermi" e nei secoli "ha fortemente avvertito il servizio ai malati e sofferenti come parte integrante della sua missione" (Giovanni Paolo II, Motu Proprio Dolentium Hominum, 1), di testimoniare la salvezza integrale, che è salute dell’anima e del corpo. Il Popolo di Dio pellegrinante per i sentieri tortuosi della storia unisce i suoi sforzi a quelli di tanti altri uomini e donne di buona volontà per dare un volto davvero umano ai sistemi sanitari. La giustizia sanitaria deve essere fra le priorità nell’agenda dei Governi e delle Istituzioni internazionali. Purtroppo, accanto a risultati positivi e incoraggianti, vi sono opinioni e linee di pensiero che la feriscono: mi riferisco a questioni come quelle connesse con la cosiddetta "salute riproduttiva", con il ricorso a tecniche artificiali di procreazione comportanti distruzione di embrioni, o con l’eutanasia legalizzata. L’amore alla giustizia, la tutela della vita dal suo concepimento al termine naturale, il rispetto della dignità di ogni essere umano, vanno sostenuti e testimoniati, anche controcorrente: i valori etici fondamentali sono patrimonio comune della moralità universale e base della convivenza democratica. Occorre lo sforzo congiunto di tutti, ma occorre anche e soprattutto una profonda conversione dello sguardo interiore. Solo se si guarda al mondo con lo sguardo del Creatore, che è sguardo d’amore, l’umanità imparerà a stare sulla terra nella pace e nella giustizia, destinando con equità la terra e le sue risorse al bene di ogni uomo e di ogni donna. Per questo, "auspico […] l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani". (Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 9). Ai Fratelli e Sorelle sofferenti esprimo la mia vicinanza e l’appello a vivere anche la malattia come occasione di grazia per crescere spiritualmente e partecipare alle sofferenze di Cristo per il bene del mondo, e a voi tutti impegnati nel vasto campo della salute il mio incoraggiamento per il vostro prezioso servizio. Nel chiedere la materna protezione della Vergine Maria, Salus infirmorum, imparto di cuore la Benedizione Apostolica che estendo anche alle vostre famiglie".

Lo sguardo della sofferenza: l'obiezione del male (p. Giuseppe Barzaghi)



Il male è qualcosa di oggettivo ma la sua trasfigurazione è qualcosa di soggettivo. Se tu togli la caramella ad un bambino ma egli ci teneva tanto … tu non sai il terremoto che succede in quell’anima lì. Pertanto il problema del male è un problema più soggettivo che oggettivo. La sofferenza ha il richiamo all’oggettività ad essere toccata dall’oggettivo ma cade dentro uno sguardo; questo significa “trasfigurare”. Questo vuol dire vedere il positivo nel negativo. I più grandi geni dell’umanità hanno l’abilità di vedere il positivo nel negativo ma anche il negativo nel positivo. Questo vuol dire vedere come il negativo non è mai assoluto ma piantato in un positivo. C’è una circolarità bene-male da vedere nello sguardo. Lo sguardo è lasciarsi incantare, avere lo sguardo fisso, saper mirare con lo sguardo dove tutto viene contestualizzato pacificamente. C’è il male? Adesso ti faccio vedere che il male è incastonato in un Bene inamovibile. La Fede è questo sguardo fisso, trascinamento altrove, lasciarsi incantare … dal Sommo Bene. Siamo in-sofferenti, non vogliamo soffrire, non vogliamo essere “sub-fero” o “sotto-porto” o “sopporta” e non vogliamo stari lì e sopportare sotto il peso. Anche noi come il pipistrello davanti al Sole chiudiamo gli occhi davanti alla sofferenza perché non abbiamo mirato il punto di trascinamento dove tutto viene trascinato verso un punto di tranquillità e di pace. Nella parabola del Ricco Epulone (Lc.16) c’è scritto che “avvenne che il povero Lazzaro morì e fu portato dagli angeli di Dio nel seno di Abramo, morì anche il ricco e fu sepolto” (Lc.16,22). C’è una differenza enorme tra uno che pensa “si mangia, si beve e si dorme e poi si finisce sotto terra” e finisce lì e di uno che invece viveva di speranza in Dio che “fu portato dagli angeli nel seno di Abramo”. Noi di solito avremmo detto “poveretto, povero Lazzaro” ma invece per Lazzaro si mossero gli angeli. Con la FEDE sappiamo e sentiamo che uno più grande di noi sta aiutando il povero Lazzaro. Così abbiamo l’incanto dello sguardo, siamo portati in fuga – cioè trans-guardiamo avendo la capacità di andare oltre il traguardo - e così la nostra forza è la forza di colui che ci porta in fuga che ci trascina, Dio. Nella sofferenza, stò sotto e porto, ma se stò sotto e sono capace di sopportare la sofferenza vuol dire che c’è Dio che sta sotto e mi sostiene. Anche Gesù nella sofferenza si rivolge al Padre che sta sotto. Gesù prega il Padre “passi da me questo calice ma sia fatta la tua non la mia volontà” e un angelo apparve a confortarlo perché Gesù era entrato nel suo “agone” cioè nel suo “combattimento”.  Coloro che entrano nell’agone si chiamano “agonisti” cioè coloro che entrano nella lotta. San Paolo è l’atleta per antonomasia che entra nell’agone. C’è l’idea che entrare nell’agone c’è qualcosa che ti toglie il fiato; il sopportatore è un atleta. Nell’agone c’è la malattia. Di solito si dice che il male è una grande obiezione: guarda la bellezza dei fiori, marciranno tutti … Avendo l’ispirazione del più grande poeta che si chiama Dio, la FEDE, possiamo vedere le cose come le vede Dio. Dentro lo sguardo della fede anche lo sguardo senza parole diventa poesia perché sono in fuga, sono stato trascinato dagli angeli nella fede in fuga, ispirato e risucchiato da Dio. Lo sguardo della FEDE ha capacità di attutire ogni strepito. Se guardi con Fede viene trascinato via, se contesti rimani lì vuoto. Il punto che fonda tutto non è mai frutto di un ragionamento altrimenti sarebbe una conseguenza e la conseguenza non fonda niente perché la conseguenza – poverina - ha bisogno di un antecedente capace di fondarla. L’antecedente non consegue a nessuno e lo pone la intuizione, l’intensità dello sguardo,  tutto deve cadere dentro uno sguardo intenso perché lo sguardo è fatto perché tutto gli cada dentro, altrimenti è uno sguardo vuoto o assente, mentre lo sguardo deve essere “presente” cioè “pre-esse”, tutto è dentro lo sguardo. Il male è tutta una questione di sguardo. Quando una cosa è giusta ed è adeguata ed io non lo vedo allora riuscire a vederla è il colpo di genio. Riuscire a vedere che tutto è adeguato è il colpo del genio. I poveri illuministi non essendo capaci di fare il sistema hanno fatto l’enciclopedia mettendo tutto in ordine alfabetico. Le cose dense stanno dentro la capacità di fuga dello sguardo non dentro l’obiezione. L’obiezione è “mettere davanti alla faccia”.  Cosa fare? Diventare una compagnia lieta alla obiezione fastidiosa. La fede ci trasfigura nello sguardo così da diventare compagnia lieta alla obiezione fastidiosa che ti porta in uno sguardo trasfigurato. Vale più la compagnia lieta che la contro-obiezione affinché la obiezione divenga più arcigna e magari lì c’è l’ammalato che tra i due “duellanti” si chiede “ed io?”. La riflessione filosofica nella teodicea è interessante quando si fa astraendo dalla persona ammalata. Ma la cosa più importante è andare a toccare lo spirito filosofico che c’è dentro a ciascuno. Il piacere della matematica è una ispirazione non una legge matematica. Per cui davanti alla obiezione del male ci dobbiamo trasfigurare a compagnia lieta alla obiezione del male. Può essere anche compagnia taciturna. Il chiostro è un universo chiuso e se c’è qualcosa oltre l’universo allora fa parte dell’universo. Nel chiostro c’è dentro questo sentimento di trascinamento in cui vieni educato da chi sta andando via. Tutto è nello sguardo presente della fede in cui tutto è visto in una concezione speculare, di specchio dove si riflette tutto maturando il senso del positivo nel negativo e del negativo nel positivo. Il grande compositore Bach sa mettere con la musica il positivo nel negativo e il negativo nel positivo; anche quando sei lieto c’è il richiamo della morte così come nella sofferenza c’è l’apertura alla gioia. Questo è lo sguardo in fuga. Noi siamo così conquistato dal fascino della fede, trascinati in fuga da Dio. Visto che Dio ci trascina in fuga è sempre una fuga vittoriosa; San Paolo dice “se siete risorti in Cristo” cioè chi ha la fede, ha la vita eterna. La Fede è il risultato in noi dalla conquista operata da Cristo. La Fede è il risultato in noi della conquista fatta da Cristo in noi; per questo siamo “trascinati”. Nessuno può andare al Padre – dice Gesù - “se non è trascinato dal Padre mio”. Non è una mia conquista la fede. Trascinati da Dio si attraversa l’obiezione del mondo, visto come ostacolo a Dio.  Il mondo è sia creatura di Dio sia ostacolo a Dio, dipende sempre dallo sguardo. In quanto ho la grazia divinizzate il mondo è lo specchio di Dio ma se non ho la grazia santificante il mondo diventa un ostacolo a Dio. Dio si conosce attraverso Dio; attraverso le creature conosco che Dio esiste. Se non siamo addomesticati, se Dio non ci fa entrare e siamo ospiti della sua casa così siamo suoi domestici, rimaniamo fuori. Le parole ascoltare dalle mente sono “idee” – “videre” o “idein” (greco) - cioè “visioni mentali”, pertanto ascoltare la Parola di Dio – invisibile - è vedere la parola di Dio che mi trascina.  La FEDE è un vedere l’invisibile perché lo tocchi: “le nostre mani hanno toccato il verbo della vita”.