domenica 28 ottobre 2012

Anno della fede - 24 ottobre 2012 (seconda catechesi)



 
L'Anno della fede. Che cosa è la fede?
Cari fratelli e sorelle, mercoledì scorso, con l'inizio dell'Anno della fede, ho cominciato con una nuova serie di catechesi sulla fede. E oggi vorrei riflettere con voi su una questione fondamentale: che cosa è la fede? Ha ancora senso la fede in un mondo in cui scienza e tecnica hanno aperto orizzonti fino a poco tempo fa impensabili? Che cosa significa credere oggi? In effetti, nel nostro tempo è necessaria una rinnovata educazione alla fede, che comprenda certo una conoscenza delle sue verità e degli eventi della salvezza, ma che soprattutto nasca da un vero incontro con Dio in Gesù Cristo, dall’amarlo, dal dare fiducia a Lui, così che tutta la vita ne sia coinvolta. Oggi, insieme a tanti segni di bene, cresce intorno a noi anche un certo deserto spirituale. A  volte, si ha come la sensazione, da certi avvenimenti di cui abbiamo notizia tutti i giorni, che il mondo non vada verso la costruzione di una comunità più fraterna e più pacifica; le stesse idee di progresso e di benessere mostrano anche le loro ombre. Nonostante la grandezza delle scoperte della scienza e dei successi della tecnica, oggi l’uomo non sembra diventato veramente più libero, più umano; permangono tante forme di sfruttamento, di manipolazione, di violenza, di sopraffazione, di ingiustizia… Un certo tipo di cultura, poi, ha educato a muoversi solo nell’orizzonte delle cose, del fattibile, a credere solo in ciò che si vede e si tocca con le proprie mani. D’altra parte, però, cresce anche il numero di quanti si sentono disorientati e, nella ricerca di andare oltre una visione solo orizzontale della realtà, sono disponibili a credere a tutto e al suo contrario. In questo contesto riemergono alcune domande fondamentali, che sono molto più concrete di quanto appaiano a prima vista: che senso ha vivere? C’è un futuro per l’uomo, per noi e per le nuove generazioni? In che direzione orientare le scelte della nostra libertà per un esito buono e felice della vita? Che cosa ci aspetta oltre la soglia della morte? Da queste insopprimibili domande emerge come il mondo della pianificazione, del calcolo esatto e della sperimentazione, in una parola il sapere della scienza, pur importante per la vita dell’uomo, da solo non basta. Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani. La fede ci dona proprio questo: è un fiducioso affidarsi a un «Tu», che è Dio, il quale mi dà una certezza diversa, ma non meno solida di quella che mi viene dal calcolo esatto o dalla scienza. La fede non è un semplice assenso intellettuale dell’uomo a delle verità particolari su Dio; è un atto con cui mi affido liberamente a un Dio che è Padre e mi ama; è adesione a un «Tu» che mi dona speranza e fiducia. Certo questa adesione a Dio non è priva di contenuti: con essa siamo consapevoli che Dio stesso si è mostrato a noi in Cristo, ha fatto vedere il suo volto e si è fatto realmente vicino a ciascuno di noi. Anzi, Dio ha rivelato che il suo amore verso l’uomo, verso ciascuno di noi, è senza misura: sulla Croce, Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo, ci mostra nel modo più luminoso a che punto arriva questo amore, fino al dono di se stesso, fino al sacrificio totale. Con il mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, Dio scende fino in fondo nella nostra umanità per riportarla a Lui, per elevarla alla sua altezza. La fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la possibilità della salvezza. Avere fede, allora, è incontrare questo «Tu», Dio, che mi sostiene e mi accorda la promessa di un amore indistruttibile che non solo aspira all’eternità, ma la dona; è affidarmi a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi sono al sicuro nel «tu» della madre. E questa possibilità di salvezza attraverso la fede è un dono che Dio offre a tutti gli uomini. Penso che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche –sul fatto che credere cristianamente significa questo abbandonarmi con fiducia al senso profondo che sostiene me e il mondo, quel senso che noi non siamo in grado di darci, ma solo di ricevere come dono, e che è il fondamento su cui possiamo vivere senza paura. E questa certezza liberante e rassicurante della fede dobbiamo essere capaci di annunciarla con la parola e di mostrarla con la nostra vita di cristiani. Attorno a noi, però, vediamo ogni giorno che molti rimangono indifferenti o rifiutano di accogliere questo annuncio. Alla fine del Vangelo di Marco, oggi abbiamo parole dure del Risorto che dice : «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16), perde se stesso. Vorrei invitarvi a riflettere su questo. La fiducia nell’azione dello Spirito Santo, ci deve spingere sempre ad andare e predicare il Vangelo, alla coraggiosa testimonianza della fede; ma, oltre alla possibilità di una risposta positiva al dono della fede, vi è anche il rischio del rifiuto del Vangelo, della non accoglienza dell’incontro vitale con Cristo. Già sant’Agostino poneva questo problema in un suo commento alla parabola del seminatore: «Noi parliamo - diceva -, gettiamo il seme, spargiamo il seme. Ci sono quelli che disprezzano, quelli che rimproverano, quelli che irridono. Se noi temiamo costoro, non abbiamo più nulla da seminare e il giorno della mietitura resteremo senza raccolto. Perciò venga il seme della terra buona» (Discorsi sulla disciplina cristiana, 13,14: PL 40, 677-678). Il rifiuto, dunque, non può scoraggiarci. Come cristiani siamo testimonianza di questo terreno fertile: la nostra fede, pur nei nostri limiti, mostra che esiste la terra buona, dove il seme della Parola di Dio produce frutti abbondanti di giustizia, di pace e di amore, di nuova umanità, di salvezza. E tutta la storia della Chiesa, con tutti i problemi, dimostra anche che esiste la terra buona, esiste il seme buono, e porta frutto. Ma chiediamoci: da dove attinge l’uomo quell’apertura del cuore e della mente per credere nel Dio che si è reso visibile in Gesù Cristo morto e risorto, per accogliere la sua salvezza, così che Lui e il suo Vangelo siano la guida e la luce dell’esistenza? Risposta: noi possiamo credere in Dio perché Egli si avvicina a noi e ci tocca, perché lo Spirito Santo, dono del Risorto, ci rende capaci di accogliere il Dio vivente. La fede allora è anzitutto un dono soprannaturale, un dono di Dio. Il Concilio Vaticano II afferma: «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e sono necessari gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità”» (Cost. dogm. Dei Verbum, 5). Alla base del nostro cammino di fede c’è il Battesimo, il sacramento che ci dona lo Spirito Santo, facendoci diventare figli di Dio in Cristo, e segna l’ingresso nella comunità della fede, nella Chiesa: non si crede da sé, senza il prevenire della grazia dello Spirito; e non si crede da soli, ma insieme ai fratelli. Dal Battesimo in poi ogni credente è chiamato a ri-vivere e fare propria questa confessione di fede, insieme ai fratelli. La fede è dono di Dio, ma è anche atto profondamente libero e umano. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo dice con chiarezza: «È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo» (n. 154). Anzi, le implica e le esalta, in una scommessa di vita che è come un esodo, cioè un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze, dai propri schemi mentali, per affidarsi all’azione di Dio che ci indica la sua strada per conseguire la vera libertà, la nostra identità umana, la gioia vera del cuore, la pace con tutti. Credere è affidarsi in tutta libertà e con gioia al disegno provvidenziale di Dio sulla storia, come fece il patriarca Abramo, come fece Maria di Nazaret. La fede allora è un assenso con cui la nostra mente e il nostro cuore dicono il loro «sì» a Dio, confessando che Gesù è il Signore. E questo «sì» trasforma la vita, le apre la strada verso una pienezza di significato, la rende così nuova, ricca di gioia e di speranza affidabile.
Cari amici, il nostro tempo richiede cristiani che siano stati afferrati da Cristo, che crescano nella fede grazie alla familiarità con la Sacra Scrittura e i Sacramenti. Persone che siano quasi un libro aperto che narra l’esperienza della vita nuova nello Spirito, la presenza di quel Dio che ci sorregge nel cammino e ci apre alla vita che non avrà mai fine. Grazie.
Papa Benedetto XVI

sabato 20 ottobre 2012

Prima catechesi del papa - ANNO della FEDE (17 febbraio 2012)



Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei introdurre il nuovo ciclo di catechesi, che si sviluppa lungo tutto l’Anno della fede appena iniziato ... La ricorrenza dei cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II è un’occasione importante per ritornare a Dio, per approfondire e vivere con maggiore coraggio la propria fede, per rafforzare l’appartenenza alla Chiesa, «maestra di umanità», che, attraverso l’annuncio della Parola, la celebrazione dei Sacramenti e le opere della carità ci guida ad incontrare e conoscere Cristo, vero Dio e vero uomo. Si tratta dell’incontro non con un’idea o con un progetto di vita, ma con una Persona viva che trasforma in profondità noi stessi, rivelandoci la nostra vera identità di figli di Dio. L’incontro con Cristo rinnova i nostri rapporti umani, orientandoli, di giorno in giorno, a maggiore solidarietà e fraternità, nella logica dell’amore. Avere fede nel Signore non è un fatto che interessa solamente la nostra intelligenza, l’area del sapere intellettuale, ma è un cambiamento che coinvolge la vita, tutto noi stessi: sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni, relazioni umane. Con la fede cambia veramente tutto in noi e per noi, e si rivela con chiarezza il nostro destino futuro, la verità della nostra vocazione dentro la storia, il senso della vita, il gusto di essere pellegrini verso la Patria celeste. Ma - ci chiediamo - la fede è veramente la forza trasformante nella nostra vita, nella mia vita? Oppure è solo uno degli elementi che fanno parte dell’esistenza, senza essere quello determinante che la coinvolge totalmente? Con le catechesi di quest’Anno della fede vorremmo fare un cammino per rafforzare o ritrovare la gioia della fede, comprendendo che essa non è qualcosa di estraneo, di staccato dalla vita concreta, ma ne è l’anima. La fede in un Dio che è amore, e che si è fatto vicino all’uomo incarnandosi e donando se stesso sulla croce per salvarci e riaprirci le porte del Cielo, indica in modo luminoso che solo nell’amore consiste la pienezza dell’uomo. Oggi è necessario ribadirlo con chiarezza, mentre le trasformazioni culturali in atto mostrano spesso tante forme di barbarie, che passano sotto il segno di «conquiste di civiltà»: la fede afferma che non c’è vera umanità se non nei luoghi, nei gesti, nei tempi e nelle forme in cui l’uomo è animato dall’amore che viene da Dio, si esprime come dono, si manifesta in relazioni ricche di amore, di compassione, di attenzione e di servizio disinteressato verso l’altro. Dove c’è dominio, possesso, sfruttamento, mercificazione dell’altro per il proprio egoismo, dove c’è l’arroganza dell’io chiuso in se stesso, l’uomo viene impoverito, degradato, sfigurato. La fede cristiana, operosa nella carità e forte nella speranza, non limita, ma umanizza la vita, anzi la rende pienamente umana. La fede è accogliere questo messaggio trasformante nella nostra vita, è accogliere la rivelazione di Dio, che ci fa conoscere chi Egli è, come agisce, quali sono i suoi progetti per noi. Certo, il mistero di Dio resta sempre oltre i nostri concetti e la nostra ragione, i nostri riti e le nostre preghiere. Tuttavia, con la rivelazione è Dio stesso che si autocomunica, si racconta, si rende accessibile. E noi siamo resi capaci di ascoltare la sua Parola e di ricevere la sua verità. Ecco allora la meraviglia della fede: Dio, nel suo amore, crea in noi – attraverso l’opera dello Spirito Santo – le condizioni adeguate perché possiamo riconoscere la sua Parola. Dio stesso, nella sua volontà di manifestarsi, di entrare in contatto con noi, di farsi presente nella nostra storia, ci rende capaci di ascoltarlo e di accoglierlo. San Paolo lo esprime con gioia e riconoscenza così: «Ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete» (1 Ts 2,13). Dio si è rivelato con parole e opere in tutta una lunga storia di amicizia con l’uomo, che culmina nell’Incarnazione del Figlio di Dio e nel suo Mistero di Morte e Risurrezione. Dio non solo si è rivelato nella storia di un popolo, non solo ha parlato per mezzo dei Profeti, ma ha varcato il suo Cielo per entrare nella terra degli uomini come uomo, perché potessimo incontrarlo e ascoltarlo. E da Gerusalemme l’annuncio del Vangelo della salvezza si è diffuso fino ai confini della terra. La Chiesa, nata dal costato di Cristo, è divenuta portatrice di una nuova solida speranza: Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto, salvatore del mondo, che siede alla destra del Padre ed è il giudice dei vivi e dei morti. Questo è il kerigma, l’annuncio centrale e dirompente della fede. Ma sin dagli inizi si pose il problema della «regola della fede», ossia della fedeltà dei credenti alla verità del Vangelo, nella quale restare saldi, alla verità salvifica su Dio e sull’uomo da custodire e trasmettere. San Paolo scrive: «Ricevete la salvezza, se mantenete [il vangelo] in quella forma in cui ve l’ho annunciato. Altrimenti avreste creduto invano» (1 Cor 15,2). Ma dove troviamo la formula essenziale della fede? Dove troviamo le verità che ci sono state fedelmente trasmesse e che costituiscono la luce per la nostra vita quotidiana? La risposta è semplice: nel Credo, nella Professione di Fede o Simbolo della fede, noi ci riallacciamo all’evento originario della Persona e della Storia di Gesù di Nazaret; si rende concreto quello che l’Apostolo delle genti diceva ai cristiani di Corinto: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per  i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno» (1 Cor 15,3). Anche oggi abbiamo bisogno che il Credo sia meglio conosciuto, compreso e pregato. Soprattutto è importante che il Credo venga, per così dire, «riconosciuto». Conoscere, infatti, potrebbe essere un’operazione soltanto intellettuale, mentre «riconoscere» vuole significare la necessità di scoprire il legame profondo tra le verità che professiamo nel Credo e la nostra esistenza quotidiana, perché queste verità siano veramente e concretamente - come sempre sono state - luce per i passi del nostro vivere, acqua che irrora le arsure del nostro cammino, vita che vince certi deserti della vita contemporanea. Nel Credo si innesta la vita morale del cristiano, che in esso trova il suo fondamento e la sua giustificazione. Non è un caso che il Beato Giovanni Paolo II abbia voluto che il Catechismo della Chiesa Cattolica, norma sicura per l’insegnamento della fede e fonte certa per una catechesi rinnovata, fosse impostato sul Credo. Si è trattato di confermare e custodire questo nucleo centrale delle verità della fede, rendendolo in un linguaggio più intellegibile agli uomini del nostro tempo, a noi. E’ un dovere della Chiesa trasmettere la fede, comunicare il Vangelo, affinché le verità cristiane siano luce nelle nuove trasformazioni culturali, e i cristiani siano capaci di rendere ragione della speranza che portano (cfr 1 Pt 3,14). Oggi viviamo in una società profondamente mutata anche rispetto ad un recente passato, e in continuo movimento. I processi della secolarizzazione e di una diffusa mentalità nichilista, in cui tutto è relativo, hanno segnato fortemente la mentalità comune. Così, la vita è vissuta spesso con leggerezza, senza ideali chiari e speranze solide, all’interno di legami sociali e familiari liquidi, provvisori. Soprattutto le nuove generazioni non vengono educate alla ricerca della verità e del senso profondo dell’esistenza che superi il contingente, alla stabilità degli affetti, alla fiducia. Al contrario, il relativismo porta a non avere punti fermi,  sospetto e volubilità provocano rotture nei rapporti umani, mentre la vita è vissuta dentro esperimenti che durano poco, senza assunzione di responsabilità. Se l’individualismo e il relativismo sembrano dominare l’animo di molti contemporanei, non si può dire che i credenti restino totalmente immuni da questi pericoli, con cui siamo confrontati nella trasmissione della fede. L’indagine promossa in tutti i continenti per la celebrazione del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, ne ha evidenziato alcuni: una fede vissuta in modo passivo e privato, il rifiuto dell’educazione alla fede, la frattura tra vita e fede. Il cristiano spesso non conosce neppure il nucleo centrale della propria fede cattolica, del Credo, così da lasciare spazio ad un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo. Non è così lontano oggi il rischio di costruire, per così dire, una religione «fai-da-te». Dobbiamo, invece, tornare a Dio, al Dio di Gesù Cristo, dobbiamo riscoprire il messaggio del Vangelo, farlo entrare in modo più profondo nelle nostre coscienze e nella vita quotidiana. Nelle catechesi di quest’Anno della fede vorrei offrire un aiuto per compiere questo cammino, per riprendere e approfondire le verità centrali della fede su Dio, sull’uomo, sulla Chiesa, su tutta la realtà sociale e cosmica, meditando e riflettendo sulle affermazioni del Credo. E vorrei che risultasse chiaro che questi contenuti o verità della fede (fides quae) si collegano direttamente al nostro vissuto; chiedono una conversione dell’esistenza, che dà vita ad un nuovo modo di credere in Dio (fides qua). Conoscere Dio, incontrarlo, approfondire i tratti del suo volto mette in gioco la nostra vita, perché Egli entra nei dinamismi profondi dell’essere umano. Possa il cammino che compiremo quest’anno farci crescere tutti nella fede e nell’amore a Cristo, perché impariamo a vivere, nelle scelte e nelle azioni quotidiane, la vita buona e bella del Vangelo. Grazie.

sabato 13 ottobre 2012

L’11 ottobre 2012 è iniziato l’anno della fede




Dice papa Benedetto XVI il 12 ottobre 2012: “Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2) … La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Così disse il Risorto ai discepoli, e soffiando su di loro aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). E’ Dio il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli, quello stesso Spirito che si posò su di Lui e rimase in Lui per tutta la vita terrena, dandogli la forza di «proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista», di «rimettere in libertà gli oppressi» e di «proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19) … Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento … Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della Fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! … E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada”.